UN DASPO AL GIORNO, TOGLIE IL TIFOSO DI TORNO.

Potrebbe sembrare un’esagerazione e, invece, alla luce degli ultimi avvenimenti appare lo scenario più plausibile in questa Italia-legale del calcio in cui tutto sembra divenire il contrario di tutto con una velocità che disorienta.

C’era una volta il vecchio calcio, pensano tanti tifosi. Un calcio fatto di stadi pieni, di partite la domenica alle 15, e spalti colorati.

Ed ora, cosa ne è rimasto? Tribune vuote, urla di rabbia e di protesta, ritornelli sempre uguali, al di là del colore: “Diffidati con noi”.

La tanto odiata diffida, nemica giurata di ultras o ultimo baluardo possibile per uno stadio più sicuro e a misura d’uomo?

COS’E’ IL DASPO? – Innanzitutto pare appropriato analizzare in cosa consista il Daspo, in quale norma di legge trovi il suo fondamento e a quale scopo sia stato previsto.

Il Daspo, acronimo di Divieto di Accesso alle manifestazioni SPOrtive, è stato introdotto dalla legge 401/1989 e si tratta di un provvedimento amministrativo con il quale il Questore può disporre il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive specificatamente indicate e a quelli interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle stesse manifestazioni, anch’essi specificatamente indicati.

Ma cosa si intende per manifestazioni sportive? La domanda appare lecita, e per nulla fuori luogo. Le manifestazioni sportive sono intese come le competizioni che si svolgono nell’ambito delle attività previste dalle federazioni sportive e dagli enti e organizzazioni riconosciuti dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI).

Meglio conosciuto dall’opinione pubblica con il nome di diffida, il Daspo può avere una durata minima di un anno e una massima di 5, salvi casi tassativamente indicati nei quali si può arrivare anche a una squalifica di 8 anni.

A questo punto, bisognerebbe capire quali sono i presupposti per l’applicazione di questo tanto temuto provvedimento amministrativo.

QUANDO SCATTA IL DASPO? – I comportamenti che provocherebbero l’applicazione del Daspo da parte del Questore vengono individuati nei cosiddetti “reati da stadio”, meglio specificati dalle successive previsioni legislative che hanno integrato quindi il testo normativo originario. In particolare, i comportamenti che assumono rilevanza ai fini del succitato provvedimento, sembrerebbero essere il lancio di materiale pericoloso, lo scavalcamento e l’invasione di campo, il possesso di artifizi pirotecnici, la violenza o la minaccia ma anche le lesioni personali gravi o gravissime nei confronti degli addetti ai controlli, la turbativa di competizioni agonistiche. Tutti comportamenti, appare opportuno precisarlo, considerati sempre e solo nell’ambito di una manifestazione sportiva e, quindi, circoscritti a quei luoghi ove la manifestazione abbia svolgimento.

L’obiettivo è lapalissiano e di facile intuizione: repressione per assicurare la sicurezza negli stadi. E, a primo impatto, sembrerebbe un buon sistema, volto a colpire chi si rende colpevole di gesti che possono nuocere all’altrui incolumità.

PECCHE DEL SISTEMA – Ma non è tutto oro quel che luccica, e presto sono emerse anche le contraddizioni e i problemi.

La prima critica mossa nei confronti del Daspo è stata una presunta incostituzionalità dello stesso; rende perplessi, infatti, la sua applicabilità sulla base di una semplice denuncia ancor prima che si arrivi alla condanna penale. Verrebbe meno, quindi, il principio della presunzione d’innocenza.

Lo scenario, infatti, tende ad essere il seguente: viene applicato immediatamente il Daspo con conseguente divieto per il tifoso di accedere allo stadio nel periodo deciso nel provvedimento stesso salvo poi, dopo anni, vedere intervenire una sentenza di assoluzione per il tifoso stesso il quale, nel frattempo, avrà già scontato la diffida.

Sulla questione è intervenuta la Corte Costituzionale, dipanando i dubbi sulla legittimità costituzionale del provvedimento. Nella sentenza 512/2002, infatti, viene inquadrato il Daspo tra le misure di prevenzione e quindi adottabile anche in assenza di processo, salvo revocabilità in caso di assoluzione.

La soluzione in realtà è apparente, e il problema persisterebbe. Infatti i tempi della giustizia tendono ad essere più lunghi di quelli della diffida, la quale, quindi, viene scontata per intero dal tifoso scopertosi poi innocente. Tutto questo, a violazione anche dell’art 16 della costituzione che prevede la libertà di circolazione.

Esempi di errori in questo senso ne troviamo a bizzeffe, favoriti anche dalle scarse misure di sicurezza presenti all’interno degli stadi italiani. Il biglietto nominale, ad esempio, diventa alquanto inutile ai fini dell’individuazione del soggetto sulla base del posto da lui occupato. E’ risaputo infatti che, soprattutto nelle curve, nessuno occupi il posto a lui assegnato. E, spesso, sono gli stessi steward a invitare a sedersi ove si trovi uno spazio libero.

Caso emblematico e che ha fatto molto discutere è stato quello di un giovane di Nardò, il quale un giorno si è visto recapitare a casa un Daspo e una denuncia per aver partecipato alla sassaiola nella partita a Gallipoli. Peccato che lo stesso, quella domenica, si trovasse al lavoro come poi confermato dal datore stesso.

Insomma, forse qualcosa da rivedere ci sarebbe.

DALLO STADIO ALLA PIAZZA? – E se il Daspo venisse utilizzato al di fuori delle manifestazioni sportive? Ipotesi non così assurda come potrebbe apparire. Nel dicembre scorso infatti, a seguito della notizia di scarcerazione da parte della magistratura di 22 dei 23 manifestanti arrestati a Roma in occasione della protesta contro la riforma Gelmini, era stata avanzata la proposta dal sottosegretario degli Interni Alfredo Mantovano di estendere il provvedimento interdittivo anche nei confronti di chi si fosse reso violento durante le manifestazioni di piazza. Una sorta di riconoscimento preventivo di soggetti potenzialmente violenti, per impedire il loro accesso alla piazza.

Sembra una soluzione paradossale, in quanto il Daspo, come indica il nome stesso, nasce nell’ambito delle manifestazioni sportive e, testi legislativi alla mano, a quelle dovrebbe fermarsi.

Farebbe rabbrividire infatti l’utilizzo estensivo di una misura special preventiva, al di fuori dei limiti sopra evidenziati.

Il Daspo, diverrebbe in questo modo strumento di controllo sociale?

IL CASO – Rientrando nell’ambito calcistico, senza ulteriori divagazioni, ci sarebbe da considerare se l’applicazione del Daspo rispetti i limiti legislativi entro i quali è stato concepito.

E’ proprio di questi giorni, infatti, la notizia del Daspo scattato nei confronti di un giovane tifoso della Fiorentina a seguito delle minacce rivolte da questi su facebook, in una pagina dedicata al calciatore Montolivo.

Il fatto scatenante, infatti, sarebbero state alcune dichiarazioni del calciatore viola nelle quali lo stesso esplicitava la sua insofferenza nella sua permanenza a Firenze. La reazione dei tifosi è stata, come prevedibile, immediata, anche sul web. Immediata la denuncia d’ufficio per minacce aggravate nei confronti del ventunenne tifoso di Bagno a Ripoli, resosi reo di alcune frasi impregnate di violenza quali “Dovremmo aspettarti in 100 sotto casa” “Mercenario traditore” “Devi morire”. E, se la denuncia per minaccia potrebbe apparire più che sufficiente e idonea nel caso in questione, la mano della giustizia non si è arrestata a questo. Si è ritenuto opportuno, infatti, aggiungere alla succitata denuncia anche un provvedimento “sportivo”: ebbene si, la tanto fin qui chiacchierata diffida. Un anno di Daspo per le minacce tramite web, quindi. E la domanda sorgerebbe spontanea: non si sono valicati i confini del “reato da stadio”?

Dallo stadio, alla piazza, per arrivare fino al web, l’opera dunque sembra compiuta fino in fondo. E, allora, è proprio il caso di dirlo. Lo stadio, di questo passo, diventerà davvero privilegio per pochi.

Martedi 11 Dicembre 2012

Fonte [Paperblog]

Sezione: Dal mondo Ultras