Basta intendersi sui termini: cosa significa discriminazione?
Lasciamo stare il fatto che abbiamo avuto quale ministro degli Interni un individuo che è l’attuale capo politico di un partito, regolarmente rappresentato in Parlamento, i cui esponenti certo non brillano per tolleranza razziale e/o territoriale perché il tutto rientra nelle logiche di un Paese quale è – purtroppo – l’Italia.
Bene, la discriminazione consiste in un trattamento particolare di un individuo, diverso rispetto ad altri individui o gruppi di individui.
Volendo esasperare il concetto, se ho la pancia o sono pelato e – per questa ragione – mi viene impedito l’accesso a un cinema o uno stadio: è discriminazione.
Se, invece, per strada uno mi urla “A’ pelato demmerda” oppure “a panzone demmerda” (come anche qualsiasi altro tipo di insulto che si basa su particolarismi fisici), si è in presenza – appunto – di un insulto, magari bieco e spregevole ma pur sempre un insulto, non di una discriminazione.
Secondo il concetto di colui che esultò con i morti ancora caldi in quel di Bruxelles, “laziale burino” è necessariamente discriminazione territoriale perché sottolinea o allude a una provenienza geografica qualificata in modo spregiativo. Se insulto la mamma del laziale, compio una discriminazione basata sulle preferenze sessuali dell’individuo. Qual è il limite, in un gioco come il calcio che prevede che – in una Italia campanilistica e voluta (purtroppo?) da Garibaldi solo 150 anni fa – una città sfidi l’altra, sportivamente e campanilisticamente?
Il termine “discriminazione territoriale” applicato a un coro è un non senso che solo i trogloditi o le persone in malafede non capiscono/non vogliono capire, perché in realtà non si tratta di discriminazione ma di un insulto, basato su ragioni territoriali o, in alcuni casi, razziali. Che i milanisti o gli interisti mi cantino “Romano bastardo” in uno stadio, non mi fa né caldo né freddo: anzi, se vogliamo dirla tutta, mi fa persino piacere.
Una discriminazione territoriale, invece, è quella che viene applicata dall’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive e dalla Lega Calcio che vietano l’acquisto di biglietti a persone che risiedono in una regione piuttosto che in un’altra.
Questa sì che è pura discriminazione territoriale.
Giovedi 10 Ottobre 2013
[FONTE: AS Roma Ultras]
Sezione: dal mondo ultras