In Italia, si sa, le polemiche non conoscono mai il sigillo del punto che le conclude, risolvendole o meno. Perdurano, si riproducono e si rinnovano, magari vengono sospese, ma più in là non ci si spinge. Questi primi giorni di ottobre, nel marasma dell’annuncismo e del scompiglio dell’ordine renziano, sono dedicati anche al fardello degli stadi. Una storiella che si rincorre dagli anni ’90, dall’età dell’estate Mondiale: impianti superati, inadatti, pericolosi e pure brutti. Ma a rintuzzare la novella disputa non è mica un ragionamento complessivo e strutturale sull’arretratezza delle strutture, ci mancherebbe: al presidente del Consiglio Matteo Renzi, probabilmente anche in seguito alle controversie sul contratto e alle minacce di sciopero delle forze dell’ordine, preme presentare il conto alle società di calcio sul rinomato e straconosciuto tema della sicurezza negli stadi. Renzi ha anticipato, necessariamente via Twitter, di voler far pagare gli straordinari delle forze dell’ordine impegnate negli stadi alle società e non dai cittadini. Un’altra puntata della retorica rottamatrice, della quale anche qualche potentato italiota sembra essersi stancato ma che sembra comunque mantenere il suo consenso stupidotto nel paese, forte della sua politica banalità e soprattutto della sua ricercata spettacolarizzazione. Il pensierierino in centoquaranta caratteri di Renzi è ovviamente un derivato della sempre verde ampollosità relativa alla sicurezza degli stadi, nella sua unica veste di questione avvinghiata all’ordine pubblico, quindi ai suoi pericoli e ai suoi uomini neri (gli ultras!).
Laboratorio stadio
Il nodo degli stadi, se rovesciato, per comprendere appieno le logiche che lo pervadono, racconta una storia differente, ben più complessa e intricata. Lo stadio è storicamente e sociologicamente il luogo pubblico dove, negli ultimi decenni, soprattutto in Italia, sono stati sperimentati tutta una serie di provvedimenti repressivi che ben presto sono stati adoperati non solamente ai danni di quel pezzo di mondo ma anche nella governance della società tutta. Lo stadio e le curve, spazi sociali adibiti a laboratori della repressione: è valso per i lacrimogeni carichi di gas cs, considerate armi chimiche dalla Convenzione dell’Onu firmata a Parigi nel 1993, così come per i tonfa, potentissimi manganelli che hanno procurato gravi danni anche ai militari in addestramento (oltre che, ovviamente, alle smisurata cifra di manifestanti che l’hanno provati sulla loro pelle). La sperimentazione dei gas cs come dei tonfa è avvenuta nelle domeniche pomeriggio che hanno preceduto le giornate di luglio del G8 di Genova del 2001, oggi sono oramai un armamento abituale per le forze dell’ordine impegnate nell’ordine pubblico. Poi è stato istituzionalizzato l’utilizzo dei Daspo, delle esclusioni mirate, prima dagli stadi e poi (in parte) anche dalle manifestazioni, di quei soggetti che le questure considerano come pericolosi. In questi giorni si discute anche di Daspo collettivi da propinare contro selezionati e specifici gruppi: se anche questa sperimentazione diventerà legge, saranno i nostrani stadi a sperimentarlo.
Repressione elettrica
L’ultima novità sul fronte della repressione è elettrica. Le forze di polizia di Roma, Milano e Napoli avranno in dotazione, per una loro sperimentazione, le pistole taser, dal voltaggio altissimo, che dovrebbe avere la funzione di immobilizzare e sedare, senza procurare danni, il soggetto o il gruppetto esagitato. Il taser è un’arma che, secondo i suoi promotori, permetterebbe di non incorrere più in quegli inconvenienti omicidi che tanto hanno disturbato la serenità delle forze dell’ordine in questi anni. Ovviamente non è così, perché le pistole taser hanno ucciso e sono nelle condizioni di ammazzare un essere umano con una pigiatina un poco più prolungata del previsto da parte dell’agente che ne è in possesso, avendo per di più tutta un’altra serie di effetti collaterali possibili a seconda delle caratteristiche della vittima della pistolettata. Si inseguono gli Stati Uniti, anche nelle brame repressive, ma è proprio dal Nord America che sono arrivate le avvisaglie e i pericoli di un armamento che difficilmente può non essere considerato criminale, visti i danni e le uccisioni procurate dall’inizio dell’utilizzo della pistola elettrica. Non poteva essere altrimenti, i procedimenti organizzativi dei ministeri dell’Interno e della Difesa l’hanno insegnato: i proiettili elettrici cominceranno ad essere testati a partire degli stadi, creando le condizioni per guardare ai luoghi dove si svolgono le partite di calcio come fortini armati, nei quali le forze dell’ordine sfoggeranno un’armatura di mica poco conto, come se dovessero andare a fare la guerra, con addosso la rivoltella d’ordinanza, lo spray urticante, il manganello tonfa e la pistola taser.
Investimento armato
Il “modello inglese” degli stadi, tanto venerato e lodato, racconta una storia diversa, sotto tanti aspetti. Innanzitutto, in Gran Bretagna gli steward sono praticamente disarmati. Non è con la bellicosità che risulta funzionante, la logica è ben differente. In Italia non funziona evidentemente così, nonostante gli steward presenti all’interno degli stadi italiani, adoperati però in appoggio alla polizia e ai carabinieri. Una scelta repressiva connotata dalla paranoia del controllo e quantomai della punizione. Non sarà troppo sorprendente vedere, nel prossimo futuro, anche l’esercito impegnato negli stadi italiani, come già frequentemente avviene nelle grandi città attraverso i corpi degli alpini così come è stata organizzata la difesa del cantiere del Tav a Chiomonte, altro laboratorio repressivo dello Stato. L’assurdo fatto diventare metodo: mentre le forze dell’ordine minacciano periodicamente lo sciopero per i mancati scatti nei contratti o denunciando la cronica mancanza di benzina nelle vecchiotte automobili di servizio, si decide di destinare un altro investimento sugli armamenti in dotazione, illudendosi di mettere fine alla cronologia degli omicidi, più o meno imprevisti, lungo le strade da parte di polizia e carabinieri, non preoccupandosi di risolvere le sistemiche falle che contraddistinguono il faldone della cosiddetta sicurezza.
Venerdi 3 Ottobre 2014
[Fonte:www.nuovasocieta.it]
Sezione: dal mondo ultras