Il vergognoso divieto imposto alla Curva Ovest Ferrara nella trasferta di Roma, che non ha permesso loro l’ingresso della bandiera raffigurante Federico Aldrovandi, è un atto di prepotenza e arroganza, ennesima ammissione della colpevolezza dello Stato!
Quello che ha subito Federico è una verità storica, oltre che giudiziaria, incancellabile come lo furono i fatti vergognosi successivi alla sua morte.
Non dimenticheremo mai come all’alba del 25 settembre 2005 un ragazzo di soli 18 anni sia stato ucciso a seguito di un controllo di polizia!
La famiglia venne volutamente avvertita solo alle 11 del mattino, quasi cinque ore dopo la constatazione del decesso di Federico. I genitori, di fronte alle 54 lesioni ed ecchimosi presenti sul corpo del ragazzo, ritennero da subito poco credibile la morte per un malore, cosi come gli fu detto dalla locale Questura.
Dopo due anni di coperture e reticenze, durante i quali le versioni ufficiali sposavano la tesi della morte per overdose e dell’innocenza dei tutori dell’ordine, il 20 ottobre 2007 iniziò il processo a quattro agenti.
Nel novembre 2008 il “colpo di scena”: agli atti del processo fu presentata una foto che mostrava inequivocabilmente come la causa di morte fosse un ematoma cardiaco causato da una pressione sul torace, escludendo ogni altra ipotesi.
Il 6 luglio 2009, finalmente ci fu la condanna degli agenti. Il giudice disse: «ucciso senza una ragione». I 4 imputati, gli agenti Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri furono condannati a 3 anni e mezzo per omicidio colposo.
Il 9 ottobre 2010 il Viminale risarcì alla famiglia due milioni di euro, cifra che nel 2015 la Corte dei conti dispose che doveva essere pagata per il 30% dai poliziotti, salvo poi ridurre alcuni mesi dopo drasticamente gli importi a poche decine di migliaia di euro.
Il 10 giugno 2011 si chiuse il processo d’appello con la conferma delle condanne. Durissima la requisitoria della pg: “in quattro contro un’inerme, una situazione abnorme”.
Gli agenti fecero ricorso in Cassazione , il 21 giugno 2012 fu rigettata e le condanne furono tramutate in definitive, ma ci fu per loro l’indulto.
Il Pg scrisse nella sentenza: “schegge impazzite in preda al delirio”. La corte dei conti dispose cautelativamente il blocco del quinto e la confisca dei beni per i quattro, per coprire il maxi risarcimento riconosciuto nel 2010 dal Viminale alla famiglia.
Nel 2013 i 4 agenti condannati scontarono i 6 mesi di pena residua, ma un anno dopo tornarono in servizio.
A giugno 2014 ci fu anche una condanna definitiva nel secondo filone processuale, quello per i depistaggi delle prime indagini: il poliziotto che nascose i registri del 113 per depistare l’inchiesta fu condannato a 8 mesi.
Da ricordare infine nell’ Aprile 2014 al congresso del Sindacato Autonomo di Polizia la vergognosa standing ovation per gli agenti condannati.
Un anno prima a provocare fu il ben più piccolo Coisp, sindacatino che strappò il proprio quarto d’ora di notorietà manifestando sotto le finestre dell’ufficio di Patrizia Moretti, mamma di Federico.