Capisco che nel multimilionario calcio contemporaneo, dominato dagli imperativi della tv, l’ambizione sia quella di trasformare gli spalti degli stadi in ricettacoli di educande, succursali del pubblico del tennis o del baseball. Ma a noi, quelli affezionati al calcio di una volta e alla militanza antica da stadio, deve essere almeno lasciata la possibilità di criticare il retroterra poliziesco di questa trasformazione.
Ma davvero non potrò portare mio figlio in curva a tifare o andare in trasferta in quella mistica del viaggio che tanti uomini ha cresciuto assieme all’Interrail, in giro per le stazioni e gli stadi di mezza Italia. E a insultarsi, sì, perché gli insulti e i denti digrignati fanno parte della vita… Intendiamo, è ovvio che nessuno intende giustificare la violenza o le imbecillità para-razziste di ragazzotti che magari nella propria squadra hanno beniamini nigeriani o senegalesi. È però indubbio che l’intento primario delle misure draconiane e iper-repressive che anestetizzano gli stadi è quello di cancellare il quasi cinquantennale movimento ultras. Chiunque li frequenta sul serio sa che gli stadi sono un pezzo di mondo e dunque le esplosioni di intolleranza possono avvenire anche lì dentro, e sa anche che oggi andare a una partita, sia in casa sia in trasferta, è molto più sicuro rispetto a trenta o quarant’anni fa. Per intenderci, un episodio orribile come la morte di Vincenzo Paparelli oggi sarebbe impensabile. Ci si picchiava molto di più, negli anni Settanta od Ottanta, ci si insultava in modi molto più feroci tra pisani e livornesi, tra veronesi e reggini, tra romanisti e laziali, eppure nessuno chiedeva la chiusura degli stadi per discriminazione territoriale se, poniamo, gli abitanti di Lauria Nord apostrofano terroni quelli di Lauria Sud. Cancellare gli sfottò territoriali è un’operazione di ripulitura linguistico-culturale che cancella secoli di campanile italico, eliminare l’esuberanza giovanile dall’interno degli stadi, ancora, è estinguere una storia adolescenziale di guerra per bande che nelle nostre città nasce nel Medioevo. Oggi il calcio è opulento, i giocatori iconcine che rotolano a terra a beneficio delle inquadrature al primo fallo, e il pallone sta perdendo quella cornice popolare, verace, e perfino ribellistica che ha generato gli ultras, uno degli ultimi serbatoi di creatività e aggregazione giovanili ancora non compromesse con i circuiti commerciali. So di essere sfacciata minoranza, in questa difesa delle curve, ma tant’è, prego il dio Eupalla di salvare gli ultras, striscioni, sfottò, bandiere, per il bene del calcio.
Venerdi 1 Novembre 2013
[FONTE: Il Giornale]
Sezione: dal mondo Ultras