«Una cosetta così, fuori dal coro….. Visto che la stragrande maggioranza di coloro che commentano con le solite frasi precotte i “fatti” di Salernitana-Nocerina non entrano in uno stadio da decenni, diciamo una cosa… a monte: gli eventi sportivi andrebbero ORGANIZZATI (e bene possibilmente) anziché PROIBIRLI. Siamo l’unico paese al mondo che proibisce le trasferte. Troppo comodo. Abbiamo organizzato i funerali di Wojtyla con 200 capi di Stato senza che succedesse niente ma a gestire Salernitana-Nocerina (e centinaia di altre partite, da anni) non ci si prova nemmeno…». Perché concetti, apparentemente scontati, risultano così difficili da essere compresi da chi è deputato a governare questa Nazione?
Ce lo siamo chiesti anche noi dopo esserci imbattuti, su Facebook, nel post pubblicato da Cristiano Militello. Poche parole in cui il noto presentatore televisivo e radiofonico, evitando di soffermarsi sul derby farsa di Salerno, lanciava uno spunto di riflessione per provare a capire come e perché si sia arrivati al punto in cui siamo.
Di analisi in questi giorni se ne sono lette tante. Anche noi abbiamo detto la nostra. Provare ad affrontare temi che riguardino gli ultras, la tessera del tifoso e la repressione con gli organi preposti, siano essi Forze dell’ordine, società, legislatori, è pressoché impossibile. L’argomento è tabù.
Ecco perchè, anche alla luce di quel post, abbiamo ritenuto di provare a parlare con chi, domenica dopo domenica, per lavoro visita gli stadi di tutta Italia.
Cristiano Militello, con la rubrica “Striscia lo striscione”, in onda sul programma tv “Striscia la notizia” ha provato negli anni a raccontare il mondo delle curve e dei tifosi. Ha potuto verificare, meglio di chiunque altro, gli effetti del dopo Raciti, della repressione e di come, da qualche tempo a questa parte, andare allo stadio sia diventato sempre più difficile. Lo abbiamo contattato telefonicamente e lui non si è sottratto.
Cristiano, innanzitutto grazie per la disponibilità…
«Figurati, cominciamo».
Che idea ti sei fatto di quello che è successo domenica mattina nel ritiro della Nocerina prima e allo stadio Arechi di Salerno poi?
«Mi sono fatto un’idea di quel che è successo prima di tutto ciò. La tifoseria della Nocerina è in possesso della tessera del tifoso. L’ha sottoscritta a suo tempo perché fu spacciata come unico lasciapassare per poter seguire la propria squadra in trasferta. Se, nonostante questo, si proibisce la trasferta, è ovvio che i tifosi si sentano discriminati, specie quando partite ben più pericolose si giocano regolarmente e specie quando si pensa che siamo l’unico Stato nel mondo dove si proibiscono le trasferte».
E’ giusto che i tifosi si siano rivolti ai giocatori?
«Io non so cosa abbiano detto ai calciatori e, quindi, a differenza di tanti non giudico. Uscendo dal caso specifico dico che se io tifoso ritenessi di aver subito un’ingiustizia, sarei contento se la mia squadra decidesse di esprimermi solidarietà. Mediaticamente i calciatori hanno molto più peso dei tifosi e delle loro istanze».
Ogni settimana sei in uno stadio diverso. Al di là del lato goliardico che viene fuori nei servizi che mandi in onda, ti rapporti con le curve e con le diverse realtà. E’ tutto marcio il mondo degli Ultras?
«Ovvio che no. I mass media tendono a sbattere in prima pagina i pochi fatti negativi rispetto ai moltissimi positivi. Funziona(va) così anche per gli striscioni: si enfatizzava solo lo striscione becero o scorretto o razzista. Faceva più notizia. E così io mi son trovato ad inventare l’acqua calda e cioè a dare spazio a un modo di vivere la partita che è proprio della nostra tradizione e della nostra cultura da oltre 40 anni. Lo sfottò c’era, c’è e sempre ci sarà, serviva solo uno che accendesse il faro, faro sempre troppo impegnato a illuminare ciò che invece non meriterebbe nessuna considerazione. Da noi a Striscia non c’è mai stato spazio per striscioni irricevibili. Sennò fai il gioco di chi li fa».
Quanto, dal tuo punto di vista, le politiche messe in campo dallo Stato negli ultimi anni per arginare la piaga della violenza negli stadi hanno funzionato? (tornelli-prefiltraggi-tessera del tifoso).
«Finalmente anche i media più “pesanti” cominciano a rendersi conto che il “proibizionismo” non paga e che la Tessera del tifoso è stata un fallimento pressoché totale.
Facciamo una premessa doverosa: il lavoro delle Forze dell’ordine è certamente complesso, duro, difficile, spesso sottopagato ma, proprio per questo, necessita di una delicatezza, di una trasparenza e di un buon senso di cui le misure degli ultimi anni ormai non hanno più traccia. Anzi, credo che certe ordinanze e la totale discrezionalità dei fattori di rischio da partita a partita, spesso disorienti le FDO per prime.
Ma una cosa va fatta salva: l’evento sportivo va gestito, non vietato. In questi ultimi 3 anni oltre 1000 partite (tra cui anche Guidonia-Atletico Vescovio o Montichiari-Sanbonifacese) sono state fatte disputare a porte chiuse.
Ma perché? Che messaggio manda lo Stato? Chiunque è capace a tutelare l’ordine così.
Se fai 70 euro di multa a un genoano che entra allo stadio di Firenze con lo striscione (non autorizzato) “Vi faremo a Prandelli” hai tutelato l’ordine pubblico? Hai fatto un buon servizio a quel tifoso? Te lo sei reso amico e collaborativo? Che ricordo gli hai lasciato? Ti sei reso autorevole o semplicemente autoritario?»
Siamo l’unico Stato che invece di aprire gli stadi alle famiglie e ai tifosi ospiti si preoccupa di chiuderli. Come se questa fosse la soluzione al problema. Quello che è successo nell’Inghilterra degli hooligans (stadi confortevoli, dove si rispettano le regole ma aperti a tutti) può succedere nell’Italia degli Ultras?
«Qua si ciancia spesso di modello inglese ma ovviamente a vanvera. Il deputato Taylor, estensore delle misure post-Heysel, impose misure dure contro gli hooligans, ma la premessa di tutto il suo disegno di legge fu: “Si smetta di trattare il tifoso come una bestia e ci si renda conto che il tifoso è parte integrante della liturgia della partita e dello spettacolo”.
Non è coi meri divieti che si inculca la tanto sospirata “cultura sportiva”.
Dici di voler riportare le famiglie allo stadio ma poi se un padre decide la domenica mattina di portare suo figlio allo stadio (in base al meteo, alla stanchezza, agli impegni) troverà i botteghini chiusi, perché ormai usa così. La gente tornerà allo stadio anchese sarà messa in condizione di fare la differenza come tifoso, e non comecliente».
Quanto sono cambiati gli stadi italiani dal dopo Raciti ad oggi? Dal tuo punto di vista in meglio o in peggio?
«Noi in Italia siamo specialisti nel buttare il pannolino sporco con tutto il bambino attaccato. Cosa c’entrava eliminare i c.d. strumenti positivi di tifo (tamburi, coreografie, fumogeni, megafoni)? Che danno hanno mai fatto? Hanno da sempre rappresentato uno spettacolo nello spettacolo. Offerto gratuitamente peraltro. A un certo punto a vagliare i contenuti e la messa a norma degli striscioni stessi ci hanno messo i GOS (no dico, i GOS!). Ora ci sono quelli che per tutta la partita stanno attenti ai cori. Tra un po’ daranno diffide anche a chi impreca il lunedì al bar a sfogliare la Gazzetta».
Come mai nessuno va al nocciolo della questione come hai fatto tu con quel post su facebook? Pensi si faccia informazione a senso unico?
«Su alcuni temi sì. Il perché è un mistero. Un mix di superficialità e piaggeria. A Striscia siamo stati i primi in tv a mettere in luce le falle pratiche della tessera del tifoso e a denunciare l’anima prettamente commerciale dell’operazione. Nonostante tre servizi nessuno dal Ministero se la sentì di replicare. Poco dopo arrivò la sentenza del Consiglio di Stato che giudicò la tessera una pratica commercialmente scorretta e quindi illegittima. E anche dal punto di vista costituzionale si potrebbe discuterne…».
Ci hai raccontato in questi anni l’essenza vera del calcio e di come gli italiani vivono lo sport più bello del mondo. Che calcio sarebbe senza le curve, senza gli sfottò, senza le rivalità?
«Sarebbe il burraco».
Vari ultras, ma anche tifosi “normali” stanno lasciando il calcio “dei milioni e dei divieti” per lanciarsi in esperimenti di “calcio popolare” a livello dilettantistico o amatoriale. Secondo te è l’unica soluzione percorribile per chi vuole rivivere il calcio dei nostri padri?
«Non condivido aprioristicamente la distinzione tra ultras e tifosi normali: la maggior parte delle lamentele e delle mail che ricevo proviene non tanto o non solo dagli ultras – un mondo che di solito, nel bene e nel male, tende ad autorappresentarsi e ad autodifendersi – ma esattamente da quel target di persone che l’avvento della TDT e delle varie restrizioni voleva riportare negli stadi. Sì, certo, la superofferta televisiva, gli stadi vecchi, i parcheggi, i danni di immagine di scandali vari, tutto vero, ma siccome vedere una partita dal vivo è un’esperienza “sensorialmente” troppo superiore, credo che per giustificare i vuoti sugli spalti vada dato finalmente il giusto peso alla clamorosa difficoltà dell’acquisto di un biglietto, almeno rispetto alla teorica semplicità del paradigma mi va di vedere una partita-mi compro un biglietto-entro allo stadio. Per non parlare poi di andare in trasferta, impresa ormai epica. Tolte alcune partite di cartello negli stadi italiani oggi manca soprattutto una cosa: l’energia».
Alla luce di provvedimenti restrittivi, potresti oggi scrivere un libro ricco come i tuoi tre precedenti e quanto, secondo te, il calcio italiano ha perso di spettacolo?
«Il calcio italiano ha perso tanto di spettacolo, troppo, dentro e fuori dal campo. Gli stadi sono vuoti ma davanti alla sproporzione che esiste tra gli svantaggi (dolosi) del match “live” e i vantaggi del match in tv, per me è ancora troppa la gente che ci va. Sugli striscioni fortunatamente stanno un po’ mollando la presa, materiale ve ne sarebbe anche. Piuttosto un gran bel libro sulle cause della crisi del sistema-calcio esiste già, si chiama “A porte chiuse” edito da Sperling e Kupfer, ve lo consiglio».
Grazie Cristiano, a presto.
«Figurati, è stato un piacere».
Venerdi 15 Novembre 2013
Fonte: Orticalab
Sezione: Dal mondo Ultras