VII REPARTO MOBILE DI BOLOGNA- APPELLO ALLA SOCIETA’ CIVILE

Chi vive rinchiuso nel proprio castello dorato ovviamente certe cose nemmeno se le sogna. La loro vita non conosce incertezze né sfumature o zone d’ombra, per loro il mondo è o bianco o nero, poi c’è il bene e c’è il male, i poliziotti sono sempre i buoni e chi non è un poliziotto e vi si trova con questi coinvolti, deve imprescindibilmente essere il cattivo di turno, ultras, manifestante o semplice cittadino che sia.
Chi invece non vive solo in fleboclisi catodica e il  calcio l’ha bazzicato negli stadi e non solo dal salotto di casa, pendendo dalle labbra del damerino che lo commenta in tv, conosce benissimo il tristemente famoso “Reparto Celere”. Chi in trasferta c’è andato più di una volta nella propria vita o più in là della classica e tranquilla trasferta fuori porta, conosce benissimo la fama di alcuni di questi reparti in particolare e sa che andare in uno stadio dove il servizio d’ordine (?) era affidato per esempio al reparto di Bologna o di Padova voleva dire inevitabilmente finire a scontrarsi con questo “terzo blocco” fatto di provocatori, professionisti della violenza, picchiatori senza scrupoli i quali detenevano impunemente il monopolio della violenza e l’impunità conseguente per il semplice fatto di essere rappresentanti dello Stato. Chiunque abbia avuto a che fare con questi ne può testimoniare la ferocia, può raccontare storie infinite di abusi e pestaggi da parte di questa sorta di “terzo gruppo ultras” (nell’accezione negativa che i media ne danno al termine, perché di fatto nulla hanno da spartire con quella sorta di codice cavalleresco che gli ultras si danno in certi confronti più estremi). Paolo Scaroni ne ha pagato dazio, prima di lui ci passò il romanista Alessandro Spoletini, rimasto in coma nel 2001 sempre dopo un poco piacevole vis-a-vis con la celere bolognese nell’indifferenza quasi totale dell’informazione di allora (i pochi che ne parlarono lo archiviarono come l’ennesimo “caduto accidentalmente da solo per le scale” così come dalle scale è caduto Cucchi e tanti altri). Ora, pensare ad uno scioglimento di questi reparti sarebbe forse pura utopia, così come sarebbe sciocco credere in inchieste interne o esterne che ne limitino l’azione ai confini delle convenzioni sociali “civili”, per quanto già avere un manganello nelle mani abbia ben poco di civile. Però, davvero, è altrettanto impensabile che in un paese che si auto-arroga il diritto a chiamarsi appunto civilizzato possa esistere questi coni d’ombra in cui chi dovrebbe garantire la pace sociale si rende invece autore di atti di inaudita barbarie: chi ha paura dei numeri sui caschi e sulle divise? Cosa hanno da nascondere se tanto dicono di essere in buona fede e di operare nel giusto e nel diritto? Perché i loro sindacati di categoria che si riempiono la bocca di tante belle parole, oppongono così forti resistenze? In tempi di crisi e forte sperequazioni sociali, purtroppo, ai palazzi del potere fa comodo tenere fuori dei cani da guardia feroci e schiumanti di rabbia, rispondere al bisogno di reddito, diritti e servizi sociali non con erogazione degli stessi quanto con repressione al fine di preservare invece i propri di diritti o dei loro amichetti banchieri. Però davvero la società civile non può ancora e in eterno farsi abbindolare dai loro ammuffiti luoghi comuni e credere alle loro cazzate plateali: se non scioglierli, quantomeno chiedere con fermezza che siano identificabili e che non ci sia mai più né un Paolo Scaroni e né nessun altro abuso da parte di chi invece, determinarte aberrazioni violente. è pagato per prevenirle e da esse difenderci.

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Il 18 gennaio 2013 il Tribunale di Verona ha assolto 8 agenti del VII Reparto mobile di Bologna (Luca Iodice, Antonio Tota, Massimo Coppola, Michele Granieri, Bartolomeo Nemolato, Ivano Pangione, Vladimiro Rulli e Giuseppe Valente) dall’accusa di lesioni gravissime ai danni di Paolo Scaroni, ultras del Brescia 1911 che il 24 settembre 2005 nella stazione di Porta Nuova ha rischiato di essere ucciso nel corso di cariche ingiustificate contro i tifosi in rientro dalla trasferta. Oggi Paolo è totalmente invalido e non si sa neppure se potrà essere avviata una causa per il risarcimento del danno.

Sette degli agenti imputati sono stati assolti dal giudice Guidorizzi per insufficienza di prove, l’ottavo perché il fatto non sussiste.

Al momento della lettura della sentenza alla rabbia e all’abbattimento di Paolo, dei suoi familiari e degli oltre 500 tifosi giunti da ogni dove per supportarlo hanno fatto da contraltare gli abbracci e gli sguardi di soddisfazione dei celerini prosciolti. Criminali che purtroppo indosseranno ancora la divisa, impugneranno un manganello (magari al contrario come avvenuto quel giorno) e una pistola.

Non sono ancora note le motivazioni di questa vergognosa sentenza, ma alcune cose le sappiamo:

–          sin dall’inizio ci sono stati tentativi di depistaggio e se l’inchiesta ha preso il via è stato solo grazie all’ausilio di una coraggiosa e testarda poliziotta della Polfer,

–          la sentenza di assoluzione per “insufficienza di prove” è stata sicuramente facilitata dal fatto che i celerini non fossero identificabili a causa del casco con la visiera e il fazzoletto bordeaux con cui sono soliti mascherare il volto in questo tipo di “azioni”;

–          la prova principale che poteva inchiodare i colpevoli, ovvero il video con le riprese delle cariche girato dalla scientifica, è stato tagliato: un taglio di dieci minuti… esattamente quelli in cui Paolo viene massacrato. Tagliato anche nel finale il commento di due agenti: “adesso il questore ci inc…”, “ascolta, tu prova a guardare subito le immagini di quando il…”. Dieci minuti “di buco” di cui nessuna indagine interna da parte della polizia ha inteso accertare le responsabilità;

–          la vicenda di Paolo Scaroni è soltanto una delle purtroppo numerose e documentate storie di abusi che vedono come protagonisti agenti e dirigenti del VII Reparto mobile di Bologna.

In relazione a quest’ultimo punto abbiamo ragione di supporre che condannare a Verona un’intera squadra del VII Reparto mobile di Bologna, forse avrebbe messo in difficoltà mandanti e protettori di questo corpo speciale. Una sentenza di condanna avrebbe avvalorato ulteriormente le denunce che già circolano e che si stanno facendo largo presso un pubblico più ampio.

Avrebbe avvalorato ulteriormente un interrogativo che già oggi molti pongono in maniera aperta: è davvero possibile parlare solo di mele marce, quando esse sono così tante all’interno di uno stesso Reparto? Come è possibile che nessuno all’interno della Magistratura si sia finora posto il problema di indagare se qualcosa non va nella catena di comando di questo Reparto e nel tipo di addestramento che esso riceve? Il VII Reparto mobile in che modo potrebbe ricondurre ai tanti interrogativi irrisolti “sull’eclissi della democrazia” che si verificò a Genova nel 2001?

Ricordiamo alcuni episodi che hanno visto protagonista il VII Reparto mobile di Bologna.

Al G8 di Genova uno dei corpi speciali al lavoro era il VII Reparto mobile di Bologna ed esso divenne tristemente celebre anche per una maglietta indegna che i celerini si fecero stampare per ricordare l’evento (quella con l’immagine di un poliziotto che schiaccia a terra un manifestante e la scritta A GENOVA C’ERO ANCHE IO).

Per gli arresti illegali di due pacifisti spagnoli compiuti sempre durante il G8 di Genova sono stati condannati in via definitiva a quattro anni (ridotti a uno per l’indulto) 4 poliziotti del VII Reparto mobile di Bologna (Luciano Beretti, Marco Neri, Simone Volpini e Antonio Cecere), mentre chi dava loro gli ordini (Luca Cinti, uno dei tanti promossi di Genova) si trova oggi sotto processo per falsa testimonianza (la prossima udienza è prevista per il 22 febbraio 2013). Luca Cinti testimoniò in aula di aver assistito all’arresto e che uno dei due arrestati aveva in mano una spranga, ma un filmato ha dimostrato che i due manifestanti erano assolutamente disarmati e inermi al momento del fermo.

Cinque poliziotti del VII Reparto mobile di Bologna sono stati condannati per abuso d’ufficio, rissa, calunnia, falso ideologico (e uno anche per lesioni personali) per una rissa all’uscita di una discoteca di Casalecchio nel 2008 scaturita dalle offese da essi rivolte contro tre nomadi.

Sono note a Bologna le cariche particolarmente violente contro gli studenti e gli indignados in cui più di una volta (altra coincidenza) sono rimaste ferite ragazze giovani colpite alle spalle: il caso di Martina Fabbri, di cui riproponiamo l’intervista, è uno dei più conosciuti e anche per esso l’identificazione del colpevole è stata resa ardua dalla reticenza e dall’omertà dei componenti della squadra che attuò la carica e dalla mancanza di un numero identificativo sulle divise degli agenti in tenuta antisommossa.

Ricordiamo anche che Bologna è la città in cui ha operato la “Uno Bianca” e che di possibili spinte interne ai vari apparati contrarie a una riforma in senso “democratico” della polizia hanno parlato non molto tempo addietro Gigi Notari del Direttivo nazionale Siulp  e il giudice Giovanni Spinosa, ex pm della procura di Bologna che per primo venne incaricato di seguire l’inchiesta.

Noi crediamo che tutta la società civile debba essere coinvolta nel far luce su vicende, fatti e responsabilità che assieme alla mancanza di un codice identificativo per le forze dell’ordine e del reato di tortura contribuiscono a far sì che gli autori di gravissimi abusi, quando non di veri e propri omicidi (e c’è mancato davvero poco perché anche Paolo Scaroni venisse annoverato tra questi ultimi) rimangano impuniti, rinfrancati nel loro agire criminale da sentenze come quelle di Verona.

Chiediamo alle vittime di abusi di polizia, ai familiari delle vittime, alle Associazioni che si battono perché tali nefandezze non abbiano più a succedere (lo chiediamo in particolare all’Associazione “Le loro voci”, al “Comitato Verità e Giustizia per Genova”, ad “Antigone”, all’“Osservatorio sulla Repressione del PRC”, all’Associazione “A Buon Diritto”)

– di prendere posizione su questo tema

– di presentare un esposto alla Procura di Bologna perché apra una seria inchiesta sugli episodi di abusi che riguardano il VII Reparto mobile di Bologna per accertare possibili collegamenti e responsabilità nella catena di comando

– di far pressioni perché il VII Reparto mobile di Bologna venga sciolto.

Chiediamo ai parlamentari di presentare interrogazioni al riguardo e ai candidati progressisti che alzano la bandiera della “legalità” e del rispetto della Costituzione di utilizzare la visibilità di cui godono per contribuire a questa battaglia di democrazia.

Chiediamo anche agli ultras che sono stati vicini a Paolo, che sono vicini a quanti altri sono caduti vittime di abusi di polizia, di far propria la battaglia per l’introduzione del codice identificativo e del reato di tortura e per lo scioglimento del VII Reparto mobile di Bologna. L’ingiustizia subita da Paolo, gli striscioni esposti per lui in ogni stadio, i tifosi presenti il 18 gennaio a Verona hanno mostrato che è possibile unire “in nome della Verità e della Giustizia” persone che normalmente si professano rivali.

Se ieri avete fatto 100, oggi cercate di fare 200!

Quella per l’introduzione del codice identificativo e del reato di tortura e per lo scioglimento del VII Reparto mobile di Bologna è una battaglia di civiltà che ci riguarda tutti.

Chiediamo a tutta la società civile di riprendere e porre con forza anche questa domanda: “Cosa deve ancora accadere perché il VII Reparto mobile di Bologna venga smantellato?”.

Giovedi 24 Gennaio 2013

[Fonte: Vigilanza Democratica]

Sezione: Dal mondo Ultras